Il Tempo di Quaresima è un’occasione per crescere nel silenzio e nell’ascolto della Parola e così aprirsi alla conversione e da qui alla fede. «Sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui» (Sal 37,7). Così prega il salmista, dopo aver affidato a Lui la sua via. «Confida in lui ed egli agirà» (Sal 37,5).
Sta in silenzio chi non dà consigli a Dio ma sa aspettare il dono della sua Parola. Il silenzio appare come lo spazio di attesa dell’orante che chiede al Signore dove poter volgere i propri passi. Così è suggerito a Giobbe: «Porgi l’orecchio, Giobbe, ascoltami, sta in silenzio e parlerò io […] sta in silenzio e io ti insegnerò la sapienza» (Gb 33,31.33).
Nel silenzio si compie il discernimento degli spiriti e si esamina il proprio cuore (cf. Sal 4,5). Gli oranti sanno che la collera ostacola il silenzio e dispone il fedele in balia dell’attacco del diavolo (cf. Ef 4,26). Per guardare al cuore bisogna dunque tacere (cf. Sal 39,1-2). Il parlare a sproposito infatti è concreta possibilità di peccare attraverso le proprie labbra (cf. Gb 2,10).
«Per te il silenzio è lode», prega ancora il salmista (Sal 65,2). Le lamentazioni aggiungono: «E’ bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore» (Lam 3,26).
Il silenzio è allora possibilità per ascoltare e accogliere la Parola di Dio: «Fa silenzio e ascolta Israele!» (Dt 27,9) diranno Mosè e i sacerdoti leviti. La parola del Signore ascoltata nel silenzio è capace di ridonare forza: «Ascoltatemi in silenzio, isole, e le nazioni riprendano nuova forza » (Is 41,1). «Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,31). Nel Silenzio giunge dunque la voce di Dio, la sua Parola salvifica, cioè il Verbo, Gesù Cristo, Colui che è stato «avvolto nel silenzio per secoli eterni ma ora manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede» (Rm 16,25). Gesù viene dal Silenzio e si accoglie nel Silenzio.
Nel tempo di Quaresima il silenzio è necessario dunque per accogliere una parola che converte, per riprendere la via. Un passaggio del profeta Sofonia suggerisce una chiave di lettura utile per interpretare la quaresima e il suo volgersi verso la Pasqua: «Silenzio, alla presenza del Signore Dio, perché il giorno del Signore è vicino, perché il Signore ha preparato un sacrificio, ha purificato i suoi invitati» (Sof 1,7). E qual è questo sacrificio se non quello di Cristo? Se non quello in cui si celebrerà la vittoria del Messia? (cf. Ap 18,18).
La Quaresima è un tempo di penitenza. Questa si esprime mediante digiuno e astinenza, preghiera ed elemosina. Qual è il digiuno che desidera il Signore? (cf. Is 58,1ss) Si apre con questa domanda l’Ufficio delle letture del mercoledì delle Ceneri. Il digiuno gradito al Signore non coincide con un determinato stile o con comportamenti esteriori, oppure in pratiche rituali (cf. Lv 16,29; 23,27), ma nella conversione del cuore, nell’amore per il bene e per la giustizia. Il digiuno non è legato all’apparire, altrimenti è vano, come svela anche Gesù (cf. Mt 6,16). Gesù si ricollega alla predicazione dei profeti che richiamavano il popolo che aveva perso il vero significato del digiuno (Gl 2,13; Zc 7,5), come mostra anche il fariseo, vantandosi con il pubblicano del suo digiunare due volte alla settimana, nel racconto parabolico (cf. Lc 18,12).
Gesù spiegherà ai farisei che il digiuno dei discepoli non può avvenire finché lo sposo, cioè Lui stesso, è con loro. Ma quando lo sposo sarà loro tolto allora digiuneranno (cf. Mc 2,18-20). Ma questo digiuno sarà come un vino nuovo in otri nuovi (cf. Mc 2,22).
Il profeta Geremia, che ha fatto mettere per iscritto i suoi oracoli, suggerisce di leggerli al popolo in un giorno di digiuno (Ger 36,6.9), ritenendo che questo stato sia quello più adatto ad accogliere la Parola. Anche i cittadini di Ninive quando credettero in Dio indissero un digiuno (Gn 3,5). Il digiuno è utile per umiliarsi di fronte al Signore (cf Esd 8,21). Dirà ancora il libro di Tobia per gli ebrei della diaspora: «E’ meglio la preghiera con il digiuno e l’elemosina con la giustizia, che la ricchezza con l’ingiustizia» (Tb 8,12). Esso è un’opera che serve per fare spazio a Dio nel proprio cuore ed educarsi all’accoglienza del dono.
Per astinenza s’intende sia la continenza che la privazione e la rinuncia a qualcosa. tutte realtà che servono come mezzo per educare i fedeli all’accoglienza della Parola del Signore. Il tutto rinvia alla virtù della temperanza. Necessaria un’educazione sapienziale, poiché è la Sapienza che «insegna la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza» (Sap 8,7).
La seconda lettera di Pietro indica come intendere la temperanza e quali sono le sue correlazioni: «Per questo mettete ogni impegno per aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza, alla conoscenza la temperanza, alla temperanza la pazienza, alla pazienza la pietà, alla pietà l›amore fraterno, all’amore fraterno la carità» (2 Pt 1,6-7).
Fede, virtù, conoscenza, temperanza, pazienza, pietà, amore fraterno, carità. Un elenco di virtù che non si limita a riproporre altre liste similari che potevano circolare nel mondo ellenistico, ma contrassegna l’itinerario spirituale a partire dalla conoscenza e fede in Colui che ha chiamato con la sua potenza e gloria (cf. 2 Pt 1,3), che si manifesteranno con la Pasqua.
Anche per l’elemosina ci si può limitare a riprendere le parole di Gesù, che condensano e illuminano quelle offerte precedentemente dai profeti. L’elemosina va fatta in segreto, senza voler apparire e senza aspettarsi alcuna ricompensa (cf. Mt 6,1-4).
La Quaresima è un tempo di lotta spirituale.
Una prospettiva che si ricollega alle tentazioni di Gesù nel deserto, dopo aver ricevuto il battesimo e prima dell’inizio del suo ministero. Come Gesù ha risposto alle insidie del maligno attraverso la Parola di Dio, da lui custodita, allo stesso modo il cristiano potrà vincere la lotta non lasciando cadere in oblio la Parola.
I Padri e la sana tradizione della Chiesa hanno insegnato a scacciare i pensieri attraverso la ripetizione di passi della Scrittura. I monaci del deserto ripetevano anche alcune sante giaculatorie modulate attraverso l’atto del respirare: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me peccatore”. Il Nome di Gesù scaccia i demoni. I monaci ripetevano questa frase inspirando ed espirando1.
Decisiva è anche la preghiera. Aspetto che attraversa l’intera Scrittura, da cima a fondo. Impossibile sintetizzarlo. Possiamo solo tentare di individuare alcune linee di riflessione biblico teologica che hanno da sempre trovato posto nella vita della Chiesa. La preghiera è un volgersi dell’uomo verso Dio, azione della mente e del cuore, ma anche del corpo, poiché anch’esso prega. Pregare con la Parola di Dio e alla luce della Parola consente di purificare la preghiera. La preghiera ricerca intimità con il Signore, è il segno e il frutto della relazione con Lui. Inutile soffermarsi sulle modalità di preghiera, lode e gratitudine, richiesta, intercessione ma anche adorazione, ecc.
La preghiera appartiene ad ogni tempo liturgico. Si tratta di una qualità intrinseca al dispiegarsi dei tempi. Pensiamo ai molti richiami tratti dai salmi, dai profeti e dagli altri libri sapienziali. Ma anche dei riferimenti tratti dai Vangeli, con le parabole di Gesù sulla preghiera e al dono di quella del Padre Nostro.
Ricordiamo almeno alcune indicazioni dirette di Gesù. Anche la preghiera, come l’elemosina, va fatta in segreto, e senza sprecare parole (come già stigmatizzato in 1 Re 18,27, dove il profeta Elia prende in giro coloro che si rivolgono a Baal; oppure in Is 1,15 dove è vana quella preghiera e quel culto senza che vi sia giustizia; e infine in Sir 7,14 dove si da la stessa indicazione ripresa da Gesù: non ripetere le parole della propria preghiera). La preghiera sia dunque densa e concisa, autentica, forte e verace, perché il Signore conosce il cuore dell’uomo e sa ciò di cui abbiamo bisogno (cf. Mt 6.5-7).
Delle prime comunità cristiane è detto che erano «perseveranti e concordi nella preghiera» (At 1,14). Pietro e Giovanni erano soliti salire al tempio per la preghiera (cf. At 3,1). E in un altro passaggio si evince che i dodici reputano così importante la preghiera e il servizio della Parola da decidere di incaricare altri uomini per il servizio alle mense (cf. At 6,4). Questo per dire che un servizio che non nasce dal primato della preghiera e della Parola, e senza che quest’ultima abbia condotto all’Eucarestia, è puro vaneggiamento, se non autoreferenzialità.
Paolo invita a perseverare nella preghiera (Col 4,2; Rm 12,12).
La prima lettera di Pietro per invitare alla vigilanza suggerisce di essere moderati e sobri per dedicarsi alla preghiera (cf. 1 Pt 4,7).
La Quaresima come anche altri tempi liturgici, pensiamo all’Avvento, è un tempo di conversione.
Gesù apre il suo ministero terreno invitando alla conversione (cf. Mc 1,15). A conclusione del suo Vangelo, Luca dirà che nel Nome di Gesù saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati (cf. Lc 24,47). Gesù stesso nella parabola del buon pastore che va in cerca della pecora perduta dirà che in Cielo c’è gioia anche per un solo peccatore convertito (cf. Lc 15,7), volendo indicare la natura della sua missione, quella di un medico venuto per curare gli ammalati. Un’analisi scritturistica individua almeno due terminologie prevalenti: conversione come cambiamento di mentalità (metanoia), una sorta di inversione ad “U”, particolarmente utilizzata per i cristiani provenienti dall’ellenismo; e poi conversione come “ritorno”, tornare indietro, volgere i propri passi in una direzione differente, e quindi anche “voltarsi”. Per quest’ultima l’Apostolo Paolo adotta il termine epistrefo.
Giovanni Chifari, teologo biblico
tratto da VOCI e VOLTI – Anno XV n. 144 – marzo 2025
1 Realtà conosciuta anche da diversi santi mistici, come Padre Pio. A riguardo mi permetto di rinviare al mio I Gruppi di Preghiera di Padre Pio. Origine, spiritualità e servizio, Elledici, Torino 2018, pp. 108-109, e in particolare il capitolo dedicato alla preghiera secondo una prospettiva biblica, pp. 115-132.